dal Mondo
Popoli sotto scacco lobbista o Economia del popolo?
Il mondo oggi si trova a prendersi – consapevolmente o meno- a testate a vicenda mentre le lobby dell’economia mondiale sviluppano ulteriori strategie per continuare a riempirsi le tasche. La dinamica non poteva essere descritta meglio di come ha fatto Stefania Falasca che su Avvenire.it scriveva: «La sottomissione idolatrica all’avidità di denaro che controlla l’intero sistema socioeconomico, rovina la società, condanna l’uomo, lo schiavizza, spinge popolo contro popolo e minaccia la nostra casa comune»[1]. L’unicità dei popoli per la scelta di un modello economico diverso dall’attuale sistema, sotto l’incentivo della legge dei grandi numeri, sembra essere un’utopia. Parlare di questi argomenti sembra complottista e pura dietrologia ma i fatti dimostrano il contrario. Monica Di Sisto della Faitwatch sul rapporto tra il tratto commerciale di libero scambio UE-Mercosur e la foresta Amazzonica -fatti non medievali ma odierni- afferma: “i roghi non sono accidentali: i signori della soia e degli allevamenti locali ne bruciano progressivamente ampie porzioni perché la foresta faccia posto ai propri affari.”[2] È strabiliante osservare che la maggioranza composta dal popolo consumatore sia schiavizzata dal modello economico dominante basato sui dogmi capitalistici della crescita economica, della finanziarizzazione dell’economia, della mercificazione dell’esistente e del creato.
Alcune proposte, circoscritte a determinati territori e a specifici destinatari, hanno preso forma come modelli. Infatti, attraverso il mondo si trovano lodevoli iniziative come: le economie sociali [e] solidali, le reti sulla sovranità alimentare e l’agroecologia, la Banque Ethique Africaine d’Europe di Malaki Makongo[3], la banca del tempo, le forme di economie partecipative e collaborative, le diverse realtà che fanno riferimento ai common, le economie comunitarie e quelle femministe, i movimenti attenti alla prospettiva di genere e quello cooperativo, sistema di scambio di servizi e non monetario, il commercio equo e le esperienze di mutualismo sociale, la finanza etica, l’imprenditorialità sociale di economia circolare, le economie del bene comune, quelle della decrescita. Perché queste proposte non riescono a diventare modello globalmente univoco e alternativo all’economia liberale?
Nell’incertezza l’economia liberale, legata al mercato e al profitto, primeggia grazie ad una serie di fattori, alcuni dei quali sembrano apparentemente lontani, che però contribuiscono alla struttura che la mantengono viva e la consolidano. Tra questi vi sono il fattore: (1) umano: la caratteristica “forma mentis” esclusivamente consumatrice e propensa “all’usa e getta” dei popoli, la diffusa (spesso insospettabile) pratica corruttiva; (2) giuridico: l’impunità diffusa spesso tra potentati e plenipotenziari, l’imperialismo (politico, economico, militare, ecc.), il sovranismo oltre frontiere; (3) risorse: la facilità di accaparrarsene per via della disponibilità di capitali e di accrescere i profitti; (4) istituzionale – la paternità tutelante di enti sovranazionale (Fondo Monetario Internazionale, la NATO, l’ONU, le Fondazioni di alcune multinazionali, la Corte Penale Internazionale dell’Aia (Olanda); (5) ricattatorio: il debito pubblico delle nazioni, lo spionaggio industriale, la violenza tipo quella del massacro della “Black Wall Street”, un modello economico comunitario messo in atto dalla comunità afroamericano l’indomani della libertà dalla schiavitù in Tulsa (quartiere Greenwood dell’Oklahoma). La grande professionalità sviluppata servendo da schiavi venne organizzata in Tulsa da liberi cittadini con una vera economia: case e stabilimenti di proprietà, banche, ristoranti e alberghi, in una comunità che comprendeva avvocati, medici e dentisti. A febbraio del 1921, dietro assurdo pretesto, una folla bianca armata ha passato 24 ore a saccheggiare e bruciare case, scuole, biblioteche, cinema e altre attività commerciali, lasciando la città in rovine carbonizzate, 300 morti, profughi e 10.000 persone senza più un tetto[4].
Tutti questi fattori hanno interconnessioni -dirette od indirette- con il capitalismo liberale, spesso come strumenti di pressione contro i deboli e/o di esercizio di potere perverso e senza scrupolo.
Alla maggioranza il compito di andare a fondo delle cose. Prima ancora di pensare all’armonizzazione metodica di produzione e di scambio, la sfida è di capire come evitare la dipendenza dall’economia dominante e superare i fattori che la rendono obbligata. Serve l’economia del popolo, nuovo paradigma dall’approccio sistemico per svincolare la moltitudine dalla schiavitù, dal ricatto, dal consumismo sfrenato e da ogni ambiguità di sistemi, ad esempio pensare all’Olanda come paese di nascita di Fairphone[5] (un telefono “equo”, dove Columbite-tentalite, il cobalto, lo stagno ed altri minerali di sua produzione non provengono da miniere Congolesi controllate da chi alimenta la guerra (attiva da 20 anni con 12 milioni di morti all’attivo) e, contemporaneamente, nazione ospitante all’Aia carcerati politici innocenti (come Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio; Jean Pierre Bemba, leader politico congolese, ecc.).
Nell’urgenza di salvare il pianeta il popolo è chiamato alla consapevolezza, all’intelligenza comune, alla riappropriazione dei beni comuni con la netta separazione dai bene privati. Le speranze di modificare il sistema economico attuale restano vive. Chissà cosa ci riserva il futuro con questo papato sul tema economico? Già con l’Enciclica Laudato sì il pontefice evidenzia: “rinunciare ad investire sulle persone in nome di un profitto immediato è un pessimo affare per la società”. L’iniziativa “Economie Trasformative”, nata da pratiche che in diverso modo si stanno contrapponendo ai modelli neoliberisti e stanno rifiutando i dogmi capitalistici della crescita economica e della finanziarizzazione dell’economia apre un’altra opportunità. Ufficialmente inizia ad aprile 2019 definendo un lungo e articolato percorso verso il primo Forum sociale mondiale delle economie trasformative che si terrà a Barcellona dal 25-28 giugno del 2020. L’obiettivo è un’agenda globale per definire azioni e scenari pratici verso la costruzione di una società post-capitalista coinvolgendo esperienze e pratiche di economia sociale e solidale già molto diffuse in ogni continente.[6] In vista della preparazione è nato in Italia un appuntamento di confronto nazionale che porterà verso Barcellona[7]. Può da Barcellona nascere un modello di “Economia del Popolo”? Al popolo la scelta e l’impegno.
Anselme Bakudila
[1] https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/lora-di-uneconomia-al-servizio-dei-popoli-
[2] https://stop-ttip-italia.net/wp-content/uploads/2019/09/REPORT-MERCOSUR-def.pdf
[3] https://www.malakimakongo.net/nouvelles/projet-vers-une-banque-ethique-et-alternative-au-congo#more-10573
[4] Tulsa’s Black Wall Street massacre https://www.youtube.com/watch?v=EO3Fxe4mDP4
[5] https://www.fairphone.com/it/
[6] http://www.economiasolidale.net/content/appello-forum-economie-trasformative
sito promosso dall'Ufficio Comunicazioni Sociali dell'Arcidiocesi di Benevento per favorire il dialogo e il confronto tra componenti sociali e realtà ecclesiali presenti sul territorio, per far emergere notizie buone e vere che contribuiscano all'edificazione del Regno di Dio.
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