Nel
1688 Benevento fu profondamente ferita da un disastroso sisma: l’intera città
venne duramente colpita e quasi completamente rasa al suolo. A sollevarne le
sorti fu il cardinale Vincenzo Maria Orsini, uomo illuminato, moderno e di
ferrea volontà. Quando Benevento crollò sotto l’impatto del sisma l’Orsini
chiamò attorno a sé architetti di grande levatura, come Filippo Raguzzini e
Carlo Buratti, che potessero riportare la città al suo originario splendore.
Nell’arco di venti anni furono restaurati numerosi edifici, sorsero nuove
chiese e Benevento cominciò a riacquistare la sua antica dignità.
Quasi
completamente distrutto dal sisma fu il “Tempio dell’Annunziata”: il cardinale
Orsini pose la prima pietra della sua ricostruzione il 6 aprile del 1691 e
consacrò l’edificio il 6 aprile del 1711.
L’aspetto
esterno è austero e imponente, classico nella sua semplicità e, in alcun modo,
ci prepara a quello che possiamo ammirare una volta varcata la soglia: un
tripudio roccocò di marmi policromi, cornici stuccate e ricche decorazioni, tutto
studiato in un gioco di equilibri intrattenuto con gli elementi cinquecenteschi
ancora presenti. Degna del migliore linguaggio settecentesco la chiesa è
un’ampia scenografia di paste marmoree, putti e cornici; i colori brillanti
degli intarsi fanno da contraltare alle tinte più taglienti delle pitture
cinquecentesche.
Lo
spettacolo che, in maniera più prorompente, va in scena è nell’ultima cappella
a destra, dedicata al protovescovo beneventano Gennaro. Ricca ma pur sempre
elegante, la cappella vede l’impegno delle maestranze costruttive napoletane a
partire dalla metà del XVIII secolo che danno vita ad un vero e proprio
scrigno, chiuso da una balaustra costituita da un unico corpo che si incurva ai
lati, frutto dell’unione di marmi policromi e a commesso. L’autore
dell’importante cappella resta incerto: la teoria più probabile vede in Filippo
Raguzzini la maestranza principale ed il probabile progettista. Architetto di
indiscusso talento, il Raguzzini lavora molti anni a Benevento sotto la
protezione di Orsini. Ma, indipendentemente dal nome del suo autore, siamo di
fronte ad un trionfo di magnificenza barocca.
La
cappella occupa uno spazio piuttosto ristretto, problema superato applicando la
prospettiva borrominiana che, con una serie di espedienti architettonici crea
l’illusione ottica di uno spazio più ampio. Il “tempietto” dedicato a san
Gennaro vede l’imponente preziosa decorazione pervadere tanto il suo interno
quanto l’esterno: all’interno della cappella trova posto l’altare, affiancato
da due colonne binate posizionate a sorreggere un timpano spezzato su cui sono
adagiati due puttini in candido marmo bianco. La parte antistante è, di fatto,
un imponente arco trionfale: anche qui due colonne binate per lato sorreggono
dei putti, mentre nella parte alta campeggia l’effige di papa Orsini, Benedetto
XIII, incoronato con le insegne papali da due putti.
Si
ritiene che l’apporto decorativo della metà del Settecento alla cappella di San
Gennaro abbia arricchito una struttura già esistente, simile alle altre
cappelle presenti nella chiesa e che sia la parte interna quanto quella esterna
siano state modificate contemporaneamente.
Gli
elementi scultorei della cappella sono attribuiti ad altri artisti che lavorano
a Benevento: i puttini sono opera di Matteo Bottiglieri, scultore molto attivo
a Napoli, di cui però si conoscono pochissime notizie. Di più difficile
identificazione è l’autore del busto di Orsini: la scultura rientra nella nuova
iconografia papale, inaugurata dal Bernini, che abbandona la valenza politica
delle effigi pontificie per svelare tutta la parte umana e devota dell’uomo. Il
ritratto di Benedetto XIII che decora la cappella dell’Annunziata è un ritratto
dal vero, reale, fortemente naturalistico; il volto è espressivo, girato verso
l’altare principale e umilmente raffigurato a capo scoperto; il materiale
scelto è un marmo pregiato, bianchissimo, privo di venature, completamente
diverso da quello utilizzato per i putti. Tutti questi elementi fanno avanzare
l’ipotesi che il suo autore sia lo scultore Pietro Bracci, che ha già
realizzato ritratti dello stesso papa. Nella cappella beneventana l’Orsini è
già in gloria, protetto da un coro di angeli, in una posizione privilegiata
anche rispetto allo stesso San Gennaro, ed il suo volto da fedele si volge a
Maria annunciata esposta nell’abside.
Sull’altare della cappella campeggia un olio su tela del XVIII secolo, di autore ignoto, raffigurante San Gennaro: il Santo è rappresentato in piedi, frontalmente, con mitra e pastorale, in basso a sinistra la tela è riempita da un putto, mentre sempre in basso si legge “Beneventum plebs mea est”. Il dipinto è considerato di grande interesse storico artistico, riconducibile ad una replica di Luca Giordano. Nelle due pareti laterali, ad occupare uno spazio ovale, altre due tele del XVIII secolo; a destra La decapitazione di San Gennaro: al centro della composizione il Santo inginocchiato, alle spalle il boia nell’atto di decapitarlo; attorno alla scena si muove una folla concitata, mentre dall’altro due puttini trattengono nelle mani i simboli del martirio. A sinistra San Gennaro alla fornace: la scena riprende il terzo martirio del Santo beneventano. Nella tela San Gennaro è raffigurato a sinistra mentre viene fuori dalle fiamme ardenti della fornace illeso e vivo; attorno a lui un gruppo di centurioni e gente comune attoniti e sbigottiti dal miracolo appena compiuto.
Fabiana Peluso
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