Società
La chiamata
La chiamata intesa come vocazione, invito o ispirazione celeste. Così, dire di “attendere la chiamata finale” di Dio, equivale a dire di attendere la morte, il giorno del trapasso da questa all’altra vita.
Quello che ci interessa in questo spazio è la “risposta” alla chiamata, all’invito del Padre. Per farlo, cercando di non banalizzare l’argomento, proviamo a coinvolgere un religioso, che preferisce l’anonimato, mostrandosi molto docile, aperto e sincero al nostro intervistatore.
Tralasciamo, per motivi di spazio, i saluti iniziali e le cordialità ai tempi della pandemia, per riportare di seguito domande e risposte di questa intervista inattesa, non preparata e frutto di un incontro casuale.
D – La chiamata, la vocazione … non le chiedo com’è nata in lei, quanta resistenza ha opposto o la docilità mostrata, quanti gli anni di vita consacrata, piuttosto vorrei sapere la sua “risposta”, oggi.
R – Non mi ritrovo nella mia vocazione! Mi spiego. Detta così, sembrerebbe un fallimento o potrebbe essere una “notte” dei sensi o dello spirito, un momento di crisi, preludio alla successiva ripresa e crescita spirituale. Niente di tutto questo. Non mi ritrovo nella mia “risposta” a Dio, a Lui che mi ha chiamato a seguirlo in questa strada. E’ la mia risposta che mi interpella …
D – La prego, continui. L’ascolto in silenzio e senza alcun commento o presunzione di avere io le risposte o di anticiparla nelle conclusioni che vorrà donarmi …
R – La mia “risposta” mi interpella, perché non riguarda solo me, ma coinvolge i confratelli, la vita monastica, la comunità più ampia con i nostri laici del terz’ordine, la mia diocesi, la Chiesa, la mia città, la mia nazione, il mio continente, il pianeta terra. Quando arriva la chiamata, la risposta è personale. Quando vai in croce, ci vai da solo. Questo è verissimo. Tuttavia, la nostra vita è in comunità e la santità di popolo, esige risposte collettive, comunitarie. Per esempio, prendiamo i laici coniugati. Può essere una risposta alla chiamata, sforzarsi di essere un buon marito, una buona moglie, un bravo papà e una brava mamma? Sì. Per alcuni è così. Per altri non è sufficiente. Non perché siano più bravi o più esigenti, ma perché la “risposta” che la chiamata richiede loro è “altra”. Sentono che devono “uscire fuori”, senza togliere amore alla propria famiglia, ma devono “uscire” non per colmare vuoti, ma per vivere pienamente la chiamata. Me lo dicono in ogni circostanza, maggiormente nei colloqui e talvolta nelle confessioni. Sono anime in pena che cercano di “aprirsi” al mondo, senza essere del mondo, e anelano di farlo “insieme”. È l’insieme il grande assente, il grande problema … e vedo anime belle implodere e lentamente spegnersi. Accanto a loro, ci sono laici attenti lavoratori, scrupolosi, in “vocazione”: uomini e donne, mariti e mogli, padri e madri, lavoratori e lavoratrici, che rispondono alla chiamata e sono in vocazione! Per altri, ciò non è pienamente la “risposta” che sentono dentro di loro e mi gridano: – non è questa la mia “vocazione”! – A me, a noi, la “risposta” chiede di “uscire fuori” e di farlo “insieme” … (silenzio)
D – Mi permetto di interrompere questo momento di silenzio per ringraziarla di questa lunga pausa rigenerante. Non avevo mai riflettuto abbastanza sulle differenze tra silenzio e “silenzio”, l’uno è vuoto, è assenza, distanza, l’altro è pieno, vicinanza, fraternità, comunione. Vorrei chiederle, se può e se vuole, continuare il nostro dialogo con le parole. Altrimenti, continuiamo il dialogo nel silenzio.
R – Quanto detto per i laici, vale per i religiosi, per i sacerdoti, per tutti! “Insieme” è la cifra della comunione, che c’è oppure non c’è! Se non c’è, la “risposta” alla chiamata personale è insoddisfacente. Lo spirito di comunione si sente, si vede, si tocca, si odora, si gusta. Senza parole, senza prediche, si coglie se siamo o non siamo nell’amore reciproco, se c’è o meno una comunità, se le risposte sono sempre individuali, talvolta personali o ci sono anche risposte collettive. “Non mi ritrovo nella mia vocazione!” non è la mia risposta alla domanda, ma è l’unica risposta possibile e sincera che lei riceverà da chi ha risposto alla chiamata. Un tempo si indicavano come uomini e donne di Dio le creature che non hanno rifiutato l’invito, la chiamata, ed hanno risposto generosamente con la propria vita, donandosi a Dio. Se mi permette eviterei di parlare dei religiosi e dei sacerdoti, ma spenderei ancora qualche parola sui laici, purché sia chiaro che “insieme” vale per gli uni e per gli altri, per tutti. Se trovo un bigliettino di un carissimo amico, un uomo di Dio, glielo leggo, preservando l’anonimato … (rovista nella borsa e tira fuori una cartella) …
Questa non è la mia vocazione!
Ci nascondiamo dietro il distanziamento sociale per la pandemia in atto, ma non avevamo più il piacere, la gioia, di vederci in quella che ormai da tempo non è più una comunità. Non è il Covid-19 che ha allentato i rapporti. Anche prima eravamo un certo numero di fedeli in un dato luogo, ma non per questo eravamo una comunità! Ciascuno per conto proprio. Ciascuno stimabilissimo, onesto, rispettoso, addirittura qualcuno pio, ma assolutamente slegato dagli altri. Ciascuno per la sua strada e nessun pezzo di strada “insieme”. Ciascuno disposto a scalare la montagna, ma senza essere in cordata con gli altri. Questa non è la mia vocazione! Dov’è la comunione? Dov’è la comunità? Dov’è che misuriamo i nostri limiti, urtandoci, gomito a gomito, e perciò misuriamo la reciprocità nell’amore scambievole? È facile pregare insieme, fare meditazione insieme, anche perché ciascuno può farlo individualmente, nonostante sia insieme ad altri. Non è affatto facile “uscire” e fare “insieme”, passare dalle idealità all’incarnazione, dal pensiero all’azione, dai buoni propositi alla carità reciproca, al perdono, al ricominciare, al vedersi nuovi, … No, non è questa la mia vocazione! Non mi sembra di essere stato chiamato a vivere in un eremo, in una grotta, nel deserto, ma se non ci sono “risposte collettive”, se non facciamo niente “insieme” … non mi ritrovo nella mia vocazione. Vivere in comunità o almeno vivere la comunità, agire insieme, provare a dare risposte collettive, comunitarie non è una “cosa” aggiuntiva, fa parte della chiamata. Non realizzarlo, non viverlo, rende incompleta la “risposta”. Ecco che il grido – Non è questa la mia vocazione! – non richiama al fallimento, ma al grido di aiuto. Il fratello o la sorella è indispensabile per agire “insieme”, per vivere la comunione, la reciprocità e offrire una testimonianza di vita …
Mi fermo qui. La lettera continua e ripete cose già dette con sfumature diverse. Ad un certo punto, ma non è questo il contesto per affrontare la questione, chi ha scritto la lettera si chiede se l’assenza dell’insieme, della comunione possa testimoniare un Dio, che non è il nostro Dio-Trinità. Semplificando, si chiede (e non è il primo a farlo) se togliessimo la Trinità da tutti i testi, chi se ne accorgerebbe nella realtà, nella prassi quotidiana? Domanda difficile e risposta altrettanto difficile. Noi fermiamoci alla richiesta di aiuto: – Non è questa la mia vocazione! – e proviamo a dare una mano a chi chiede aiuto, chissà che nel frastuono generale non emerga una voce anche per noi, una vocina flebile che si ode solo nel silenzio, chiedendoci una risposta non generica, ma la nostra risposta. Intanto, proviamo a costruire “insieme” e a farci presenti con chi grida la sua richiesta di umanità.
Filippo Pagliarulo
sito promosso dall'Ufficio Comunicazioni Sociali dell'Arcidiocesi di Benevento per favorire il dialogo e il confronto tra componenti sociali e realtà ecclesiali presenti sul territorio, per far emergere notizie buone e vere che contribuiscano all'edificazione del Regno di Dio.
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