Società
Reddito di fraternità
Finalmente, qualche giorno di ferie. Ho appena finito di leggere “Saggio sul dono” di Marcel Mauss e mi godo le vacanze settembrine. Sono qui, seduto al tavolino del bar, con penna e foglio, sul quale sono riuscito a scrivere solo pochi appunti, peraltro non facilmente decifrabili nel torpore mattutino e prima del caffè: R = flusso di r in un periodo t; F = S tra gruppi sociali, popoli, stati; F1 = C di ideali e aspirazioni. Un fragoroso e inatteso saluto mi riporta immediatamente nello stato di veglia. E’ il mio amico, probabilmente l’unico che mi segua su TN Tempi Nuovi. Di tanto in tanto, si ferma per conversare, per criticare amabilmente e decisamente le mie riflessioni. In questa circostanza, vorrebbe capovolgere i ruoli, lui si improvvisa intervistatore e io sto al gioco e mi lascio intervistare. Da una sbirciata al notes e chiede chiarimenti sugli appunti, in particolare sul significato di “R, r, t, F, S, F1, C”, poi inizia con le domande.
D – Cosa intendi per comunanza di ideali e di aspirazioni?
R – La felicità. L’uomo cerca la felicità. Qualsiasi uomo, indipendentemente dal gruppo sociale di appartenenza, dalla cultura, dall’etnia, dal colore della pelle, cerca la felicità. Penso che la felicità sia il fine ultimo degli ideali e delle aspirazioni comuni all’uomo di ogni latitudine. Poco fa, ho assistito alla conversazione tra un padre e suo figlio. Quest’ultimo ringraziava suo padre e gli restituiva gratitudine per essersi sentito amato nel periodo più burrascoso e incerto della sua giovane vita. In fondo, ha restituito “felicità”. Nel riconoscere che il padre ha vissuto donandosi per la felicità del figlio, ricambia il “dono”, che il padre accetta muto, tra incredulità e commozione. Questo per sottolineare che anche nei momenti più crudi della vita, si può scegliere di vivere per la felicità dell’altro. Tutti gli ideali e le aspirazioni convergono nella felicità. Possiamo vivere per la propria e per l’altrui felicità. Felicità pubblica, privata, personale, comunitari.
D – Questo scambio di doni, la danza armonica tra dono ricevuto e dono donato è comprensibile tra padre e figlio, tra madre e figlio, ma com’è possibile tra persone che non hanno alcun legame?
R – Alcun legame? Uomini e donne che appartengono al genere umano: come premessa non è poco! Cercano la felicità e, poiché sono esseri in relazione, la personale felicità ha attinenza con l’altrui felicità, con la felicità comunitaria. Nei periodi più complessi della vita, ciascuno può scegliere tra l’infelicità egoistica e la felicità altrui. Donando e donandosi si crea felicità intorno a sé. Mi rammarica dover utilizzare una frase fatta, ma qui ci vuole, si tocca con mano che – c’è più gioia nel dare che nel ricevere -. Alcun legame? Non direi proprio. Siamo tutti legati: singolarmente e collettivamente.
D – Legami che ci limitano?
R – Legami o vincoli? L’intreccio di trama e ordito che ci rende più forti o il cappio al collo che ci soffoca?
D – Ritorniamo al punto. Felicità e poi? Che succede?
R – La mia, la tua, la nostra felicità deve abbracciare il mondo intero, non può avere confini piccoli. Non è la felicità della propria famiglia, del clan, del proprio partito politico, non è provinciale, ma planetaria. Poi, concretamente, contribuisco a co-costruire felicità comunitaria prima localmente e poi, via via, a cerchi concentrici sempre più ampi, oltrepassando i confini del proprio condominio, rione, città, provincia, regione, stato, continente, fino al mondo intero.
D – Come?
R – La solidarietà tra uomini, tra gruppi sociali, popoli, stati è un’epifania, una manifestazione della comunanza di ideali e di aspirazioni del genere umano. Vivendo la fraternità dispenso felicità in me e intorno a me.
D – Come vivo la fraternità per essere felice e per donare felicità?
R – Sostituendo il “prendere” con il “dare”, l’accumulare con il donare, l’egoismo con l’altruismo. Tener conto della centralità del dono ricevuto, donato, scambiato.
D – Una specie di baratto?
R – No. Ancora oggi si trova il baratto in società arcaiche, frettolosamente e impropriamente definite primitive, comunque, no. Non parlo di baratto. Anche se, qua e là, forme più o meno evolute, riviste e attualizzate di baratto le troviamo anche nelle cosiddette società evolute.
D – Quindi?
R – Parlo di dono. Libertà di donare, di ricevere, di scambiare doni. L’economia, il diritto, la morale di alcune società arcaiche è tuttora basata su questo, che va ben oltre il baratto …
D – Fai un esempio. Lascia stare il mondo occidentale, le grandi metropoli. Pensa alla tua città. Che risposta daresti per la felicità comunitaria?
R – Il reddito di fraternità. Il flusso di ricchezza in un periodo di tempo definito, che esprima “fraternità”. Nell’ottica del dono, liberamente, chi più ha, da.
D – Stai scherzando? Ti seguo su TN, siamo al decimo articolo e te la vuoi cavare così?
R – Aspettavi i fuochi pirotecnici? Perché se dico “reddito di fraternità” devo immaginarmi che ci sia l’intervento dello Stato? Perché non posso sperare che sia il cittadino o il gruppo di cittadini, più o meno organizzato, a farsi carico delle diseguaglianze? Perché i cittadini, non per assistenzialismo, ma per giustizia, non possono concorrere alla formazione di reddito, di flussi di ricchezza? Sì. Il reddito di fraternità è proprio questo. Nella mia città c’è un flusso ininterrotto di beni che circola, c’è vicinanza, fraternità vissuta, associazionismo vero, dialogo. Accanto a questo, ci sono esempi di egoismo, pseudo imprenditorialità, lassismo, furbizia e avarizia. Perché dobbiamo parlare sempre e solo delle cose che non vanno, che non funzionano? Diamo voce ai cittadini felici e alle buone prassi.
Chiudiamo il capitolo “Reddito di fraternità”, maturato nel nostro percorso a tappe, che ripercorriamo cronologicamente: “Chiusure e aperture all’altro”, “Agire, osare”, “Eravamo quattro amici al bar”, “Quattro punt(i) zero”, “La cultura del dare”, “La strategia dei piccoli passi”, “In fila per tre”, “Il principio di precauzione”, “Una dimensione diversa”.
Vorremmo ritrovarci prossimamente con una carrellata di esperienze sul campo, le “buone prassi” di fraternità vissuta. Ci lasciamo con l’appello ai lettori di far arrivare in redazione le esperienze. Abbiamo la necessità di aumentare le difese immunitarie del tessuto sociale e possiamo farlo, facendo circolare il positivo, comunicandoci le notizie belle.
Filippo Pagliarulo
sito promosso dall'Ufficio Comunicazioni Sociali dell'Arcidiocesi di Benevento per favorire il dialogo e il confronto tra componenti sociali e realtà ecclesiali presenti sul territorio, per far emergere notizie buone e vere che contribuiscano all'edificazione del Regno di Dio.
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