di Antonella Fusco
«In questo libro narro di Giotto, Francesco e Dante come tre portatori di un nuovo messaggio, raffigurati come vertici di un triangolo equilatero che ancora oggi rimane fondamentale nel progresso della specie umana. Figlio di un secolo nuovo, il pittore fiorentino agì con gli altri due in quel clima epocale che segnò la fine del Medioevo dischiudendo l’era moderna, progenitrice di quell’Umanesimo universalistico che fu il Rinascimento italiano». Così, Alessandro Masi, storico dell’arte, giornalista e segretario generale della Società Dante Alighieri, delinea il libro “L’artista dell’anima. Giotto e il suo mondo” Neri Pozza Editore. L’autore ci conduce, con intensità descrittiva e sensibilità culturale, nella vita di Giotto. Un viaggio coinvolgente con il “ragazzo” che rivoluzionò la pittura tra il Duecento e il Trecento, quando si preparava la Rinascenza. Sembra si entri con Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, nella cappella degli Scrovegni a Padova, nelle basiliche di Roma, Napoli, Firenze… Giotto: l’artista dell’anima. Nei suoi quadri, nei suoi affreschi si legge l’avvertimento di un io che tende all’oltre. L’arte come via rivelativa del sentire e dell’essere. Masi, attraverso un meticoloso lavoro di scavo negli archivi e dalle cronache dell’epoca, ha realizzato una ricca e documentata biografia di Giotto, in cui si legge la straordinarietà dell’uomo e dell’artista. Ed è in tale prospettiva che lo scrittore illustra il rapporto che emerge tra arte e fede. Lo fa attraverso l’umanità dei personaggi e del personaggio Giotto. Umanità viva, pulsante, con le sue fragilità, ma anche con la sua unicità. Nei dialoghi con il maestro Cimabue, Giotto, evidenziava chiarire un forte desiderio: se l’arte era un atto di fede o era solo arte. «Vedi Giotto» la risposta del maestro, durante uno dei tanti confronti, «io credo che quello che tu chiedi sia l’una e l’altra cosa insieme». Giotto viveva l’esperienza dell’arte con trasporto. Aveva un’attenzione particolare verso il Cantico del poverello d’Ascesi sulla semplicità della vita: «Credo che la mia pittura dovrà mettersi al servizio della sua parola». Un sentire come cammino verso l’interiorità. Un’interiorità dinamica, aperta: umanità slanciata verso l’alto. «Io vorrei dipingere uomini veri, perché la verità dei corpi è verità divina» affermava Giotto. Ebbe una vita ricca di relazioni, incontrò artisti, maestri, intellettuali della sua epoca, come Dante. Questi aprì nuovi orizzonti in un’anima sensibile come quella del pittore fiorentino. Spiega Masi: «Ai suoi occhi il poeta appariva come una sorta di eroe leggendario, un idealista, un uomo coraggioso e battagliero che per amore della sua patria e dell’Italia aveva sacrificato affetti e agi. In un certo senso lo sentiva vicino perché anche lui, a suo modo, aveva combattuto per un ideale nobile sacrificando tutta la sua vita al rinnovamento dell’arte italiana». Ma è la figura di Francesco che lo aveva da sempre affascinato. «Lo avvinceva» afferma l’autore e continua: «la lingua semplice e povera di Francesco sarebbe stata alla base della sua rivoluzione artistica, perché incarnava il verbo dell’uomo nuovo, quello che lui stesso vedeva nelle strade avvolto nei cenci dei miserabili, nelle piaghe dei sofferenti, nel volto degli umili, nell’arroganza dei superbi, nell’ottusità dei malvagi, nella spavalderia dei ricchi, nella semplicità e nella dolcezza dei più caritatevoli e negli occhi dei puri di spirito». Nell’umanità artistica di Giotto uno sguardo che andava oltre. Sguardo che si apriva alle ragioni profonde della vita. Anche quando gravemente malato chiese alla figlia: «Caterina, prima che ve ne andiate via tutti, rileggimi quella supplica di Francesco d’Ascesi. In questo giorno di letizia vorrei riascoltare per ultime le rime sante che furon a me care sopra ogni cosa e alle quali sono molto affezionato. Esse m’hanno accompagnato per tutta la vita e oggi, che sento più vicino l’arrivo di sora nostra morte corporale, vorrei che queste parole mi fossero di conforto. Fatelo in memoria di vostro padre anche quando non ci sarò più». Il viaggio della vita di Giotto continuava, si apriva ad un nuovo viaggio, quello del per sempre: l’esempio di uomo, di padre e di artista. «L’arte per lui era stata una sorta di vocazione», scrive Masi, «una spinta interiore e spirituale che gli faceva vedere il mondo solo in forma di sogno e di colore». Sogno e colore: l’incanto della vita che si dischiude alla luce.
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