un nutrito pubblico di studenti liceali ed universitari, di dottorandi e di ingegneri, ha partecipato ieri, presso la Biblioteca “Francesco Pacca” del Palazzo Arcivescovile, al quinto appuntamento di Cives – Laboratorio di formazione al Bene comune sul tema: “L’intelligenza artificiale ci renderà più liberi?”. L’iniziativa è parte anche del percorso formativo “Ingegneri liberi e forti” promosso dall’Ordine degli Ingegneri di Benevento e l’Ordine degli Ingegneri di Avellino, in collaborazione con CIVES della diocesi di Benevento e con il Dipartimento di Ingegneria dell’Università del Sannio.
Relatore della serata il Prof. Padre Paolo Benanti, una delle figure più qualificate nel campo della bioetica e dell’etica delle tecnologie, con particolare riguardo al settore delle intelligenze artificiali. Ad introdurre i lavori Ettore Rossi, Direttore dell’Ufficio per i Problemi Sociali e il Lavoro della Diocesi di Benevento: “La società della conoscenza, e in particolare quella digitale, progrediscono a tempi di record. Gli esperti di economia hanno difficoltà a formulare previsioni per i prossimi venti anni; le nuove generazioni saranno impegnate in lavori di cui non si sa ancora nulla o di cui si sa ancora molto poco. Vogliamo capire come da cittadini prepararci a questa evoluzione epocale”. Nel formulare un indirizzo di saluto ai partecipanti Giacomo Pucillo, Presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Benevento, ha spiegato che “questa trasformazione così veloce del sistema sociale condiziona il futuro dei professionisti che non investono in conoscenze. E’ un problema serio di cui prendere coscienza, se si vuole che l’automazione risponda ai principi etici alla base di una sana società”.
La prospettiva legata all’intelligenza artificiale, che per alcuni versi ci proietta verso scenari, se non apocalittici certamente misteriosi, pone in capo al legislatore e alla scuola italiana un accorto esame di coscienza sul concetto di competenze, di cui si è alla ricerca di definizione e connotazioni in linea con i tempi, e cionondimeno, già vetuste, se si pensi alla rapidità con cui le conoscenze, particolarmente quelle legate alle nuove tecnologie superano se stesse. RenAIssance è il termine utilizzato da Paolo Benanti per definire il nuovo Rinascimento che coniuga la tecnologia con un nuovo Umanesimo. Il teologo francescano, docente della Pontificia Università Gregoriana prima di addentrarsi negli intriganti meandri e nelle coinvolgenti prospettive delle intelligenze artificiali riconosce l’appeal che il tema suscita sull’opinione pubblica. “Si pensi alle opere di fantascienza, alla narrativa dedicata, che sin dai tempi del primo Rinascimento non hanno mancato di affascinare lettori e fruitori di opere cinematografiche”. Il docente tiene a rassicurare la platea: ”I robot non saranno in grado di surrogare la mente umana; sono solo in grado di processare grandi dati e per questo, visti dall’esterno, sembrano intelligenti”. Pur tuttavia, aggiunge, è innegabile che l’artefatto tecnologico sia paragonabile, per portata storica ed innovatività, alle potenzialità ed applicazioni della lente convessa nel XV secolo, che generò il telescopio e il microscopio. Con l’infinitamente lontano e l’infinitamente piccolo la comprensione che abbiamo del mondo e di noi stessi è cambiata. Gli scenari prospettati sono spesso erroneamente confusi con le previsioni, le profezie e le simulazioni che con l’utilizzo delle intelligenze artificiali si possono ottenere. “In realtà, ammonisce Benanti, lavorare per scenari significa operare precise scelte politiche”. Sostenere alcune scelte tecnologiche può comportarne altre di conseguenza, di implicazione etica o sociale. Prima di operare delle scelte, anche in campo tecnologico, occorre misurarne l’impatto. Alcune possono contribuire al deskilling cioè ad un processo di dequalificazione, mette in guardia Benanti, come Babylon Health, realtà attiva sul territorio londinese, che combina il computing con le competenze mediche affidando ad un pc un servizio di diagnostica medica che riduce, di fatto, il ruolo di un medico alle mansioni di un operatore di call center, anche delocalizzato, potendo il medico rispondere da qualsiasi parte del mondo. L’introduzione delle telecamere con ampia capacità di vision anche se alla macchina manca la percezione, ha cambiato il concetto di privacy e riportato l’incubo del Panopticon, del carcere ideale progettato nel 1791 da Bentham. Un algoritmo non serve a fare una cosa nuova, ma è capace di cambiare il modo in cui facciamo le cose. La portata è la stessa che ebbe la tecnologia “general purpose” come il vapore, l’energia elettrica, la chimica. Una volta si incrociavano i dati provenienti dall’esame dei visceri del pollo e dalle influenze astrali. Oggi l’intelligenza artificiale è capace di trovare l’anima gemella o di calcolare il risk assessment per accedere al credito attraverso l’accensione di un flag. Non siamo molto distanti, sostiene Benanti. Occorre una governance che sia capace di affiancare l’etica alla tecnologia. E’ al vaglio presso il Parlamento europeo la regolamentazione delle intelligenze artificiali. E’ necessario intervenire per contrastare l’attuale utilizzo dello sharp power – portando il conflitto politico in una dimensione digitale attraverso la manipolazione dei dati – che ha soppiantato l’artiglieria pesante (hard power) e le relazioni tra le potenze militari (soft power). L’”algor-etica” o lo sviluppo di un’etica degli algoritmi, sostiene Benanti, può far sì che l’uomo resti al centro dell’autentico sviluppo.
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