Nonostante l’estate, nonostante la consapevolezza di dire e dare cose
trite e ritrite, nonostante il rischio che la lettura sia interrotta alla fine
dello scritto in grassetto, anche oggi il desiderio di poter riflettere insieme
ha avuto il soppravvento.
Cosa c’è dopo il titolo
– la cultura del dare? –
Aiutiamoci reciprocamente a non cercare risposte immediate, ma a porci
domande, a interrogarci, a lasciarci stimolare da temi di cui normalmente non
parliamo al lavoro, tra amici, con i vicini di casa. Teniamo conto che
sull’argomento c’è una ricchissima bibliografia, che non lascia spazio a novità
improvvisate o aggiornamenti teorici impiastricciabili in un trafiletto e,
nello stesso tempo, non impedisce di suggerire, a chi fosse interessato, un
approfondimento[1]
minimo. Partiamo da qualcosa che non è nuovo, né teoricamente, né praticamente,
ma non è totalmente compiuto, se non in piccole realtà di nicchia, perché non
abbiamo ancora un nuovo umanesimo, che porta con sé una nuova antropologia, un
nuovo paradigma, una nuova chiave di lettura dell’uomo, della società,
dell’economia e del mercato, della città e della politica. Allora, l’irrealizzato,
il non definitivamente compiuto, lo scarto tra ideali e realtà incarnata,
consente di riflettere, di porsi domande, di immaginare il nuovo e per questo
parlarne.
La società, soprattutto quella occidentale, è segnata dalla cultura
dell’avere, che produce accumulo e sprechi, diseguaglianze ed emarginazione,
consumi e accaparramenti, sfruttamenti e miserie. Questa società ha esportato
il proprio brand in tutto il mondo
per effetto della globalizzazione, riuscendo ad imporre i propri non valori su
cui si fonda. Tra questi emergono, anche se non sono assolutamente soli, ma in
pessima compagnia, l’individualismo e il relativismo etico. I risultati? La
società globale che mercifica tutto, quindi anche tutta l’esistenza umana
privata (o incapace?) di instaurare rapporti interpersonali profondi, sinceri,
rischiosi per l’assenza di difese, doppiezze e sovrastrutture di distanziamento
culturale, sociale, politico, umano. L’uomo, sia l’individuo, sia in aggregati,
in comunità, è una specie, forse in estinzione, di cannibale, non perché mangi
carne umana, ma perché per “avere”, possedere, comandare, priva l’altro della
dignità e talvolta dell’esistenza. La risposta a tale cultura è il dare, la
cultura del “dare” per esprimere la verità sull’uomo, la cui identità consiste
nell’essere dono per l’altro e nell’essere dono in tutte le espressioni del suo
vivere. Sempre si può donare! Sempre. Sul piano dell’essere, “darsi” rivela una
concezione antropologica di comunione, realtà ben diversa dalle concezioni
collettivista e individualista. Quest’impronta di comunione è in tutto il creato.
I soggetti produttivi dell’Economia di Comunione[2],
imprenditori, lavoratori e altri collaboratori aziendali, sono ispirati a
principi radicati in una cultura diversa da quella prevalente nella pratica e
nella teoria economica di oggi. Questa cultura è definita “cultura
del dare” perché in antitesi alla “cultura
dell’avere”.
Ogni nostro “dare” e “darsi” contribuisce alla diffusione di una cultura
del dare, crea cultura del dare? No. Certamente, no. Basti pensare ad alcuni
interventi assistenzialistici, a forme di filantropia, al “dare” per esercitare
il potere sull’altro, il dominio e talvolta l’oppressione; al “dare” di
autocompiacimento in cui l’atto stesso del dare è una forma di soddisfazione
personale, quasi una forma imbellettata di egoismo, un’espressione egoistica di
sé che ferisce, offende e umilia l’altro; alle forme “evolute”, come il “dare”
interessato, utilitaristico. Non credo siano necessari gli esempi. E’
sufficiente, se lo vogliamo, fermarci un attimo e pensare alle nostre vite,
alle esistenze e, senza particolari sforzi, trovare espressioni del “dare” che
non appartengono alla “cultura del dare” e che non ci sono estranee.
Stiamo continuando questo percorso di avvicinamento alla definizione,
spero condivisa, di Reddito di
fratellanza, partendo da quattro punti convergenti, di cui il primo è la Cultura del Dare. Dobbiamo avere la
consapevolezza che ciascun punto meriterebbe approfondimenti e che su almeno
tre dei quattro punti c’è una vastissima bibliografia. Dietro le espressioni:
Cultura del dare, Economia di Comunione c’è una fetta di umanità in cammino,
c’è un patrimonio ideale, esperienziale, culturale[3];
c’è tanto materiale sia accademico, sia divulgativo.
Filippo Pagliarulo
[1]
Occidente, la mia terra (Giuseppe. M.
Zanghì) Città Nuova Editrice
Il potere dell’amore (Pitirim A. Sorokin) Città Nuova
Editrice
[2] Il prezzo della gratuità (Luigino Bruni)
Città Nuova Editrice
[3]
Il valore dei valori (Giuseppe Argiolas)
Città Nuova Editrice
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